18.2.15

ANALOGIA III - NASCONDERE LE PROPRIE ORIGINI

Viso doppio e triplo

Ippolito Nievo, Emanuele, 1852, ed. Marsilio, pagg. 100, 105.
«Giosuè: Dunque?
Emanuele: Dunque ho deciso.
Giosuè: Hai ben pensato? Hai ben ponderato il pro ed il contro?
Emanuele: Sì, ho visto tutto – ma so ancora che l’opinione individuale è sacra, che io sono padrone di essere Ebreo, Turco e quel che più mi accomoda […] E poi ve l’ho già detto: voglio prima essere conosciuto nel mondo! Voglio conquistare la sua stima! Quando sarà tempo non avrò nessuna difficoltà a dire ai miei simili – Guardate, colui che voi proclamaste buono, generoso, benefico… colui è un Ebreo!
Giosuè: Risponderanno: tanto peggio per tante belle virtù, se sono andate ad accovacciarsi nell’anima d’un Ebreo!»

William Faulkner, Luce d’agosto, 1939 ed. Mondadori – I Capolavori della medusa. Trad. Elio Vittorini. Pagg. 180, 181, 201.
«Anche lui si era spogliato e giaceva nudo accanto a lei […] Alla fine disse:
“Hai notato i miei capelli, la mia pelle?” E aspettò la risposta passando lenta la mano sul corpo di lei.
“Sì” gli rispose lei sottovoce. “Ho pensato che forse eri uno straniero. Che non eri di queste parti.”
“Non è questo. È ben altro. Molto più che se fossi uno straniero. Non puoi indovinarlo…”
“Come altro?”
“Indovina.”
[…]
Essa ripeté la domanda. E allora egli disse: “Ho del sangue negro”.»

Boris Vian, 1946, Sputerò sulle vostre tombe, ed. Mondadori. Trad. Stefano Del Re. Pagg. 9, 28, 29.
«Avrebbe dovuto funzionare, doveva funzionare. Guardavo le mie mani sul volante, le dita, le unghie. Nessuno avrebbe trovato niente da ridire. Nessun rischio da quel lato. […] Non avevo più nessuna preoccupazione per la mia faccia. Non era possibile sospettarlo. Dexter mi ha fatto venire i brividi durante uno dei nostri ultimi bagni. Stavo facendo l’imbecille, nudo, con una delle ragazze, che lanciavo in aria facendola rotolare sulle braccia come un poppante. [Dexter] ci osservava, da dietro, steso sul ventre […] e mi disse: “Non sei fatto come gli altri, Lee, hai le spalle cadenti come quelle di un pugile negro”. […] Quella sera mi sono guardato allo specchio e mi sono messo a ridere, a mia volta. Con quei capelli biondi, la pelle bianca e rosa, non rischiavo proprio nulla. Li avrei fregati tutti.»

Romain Gary, La vita davanti a sé, 1975, ed. Neri Pozza. Trad. Giovanni Bogliolo. Pag. 68
«Ho i capelli scuri, gli occhi azzurri e non ho il naso ebreo come gli altri arabi, avrei potuto essere qualunque cosa senza essere costretto a cambiare faccia».

Benjamin Tammuz. Il Minotauro, 1989, ed. e/o. Trad. Antonio Di Gesù. Pag. 161
«Aveva notato che gli arabi non capivano se era israeliano o un turista, e così stava attento a farsi registrare negli alberghi con un passaporto straniero, uno di quelli che aveva sempre con sé; e ai suoi interlocutori arabi raccontava che da ragazzo aveva studiato l'arabo in una università europea ed era già venuto in Palestina ai tempi del mandato britannico».

Philip Roth, La macchia umana, 2000, ed. Einaudi. Traduzione: Vincenzo Mantovani. Pagg. 116, 120, 131, 132.
«Coleman era uno dei più chiari di pelle tra le matricole più chiare del suo corso, ancora più chiaro del suo compagno di stanza, che aveva più o meno il colore del tè […] Poteva mentire anche sulla razza. Poteva scegliersi la pelle che voleva, attribuirsi il colore che preferiva. […] Non poteva permettere che le sue prospettive fossero ingiustamente limitate da una cosa così arbitraria come la razza. […] Lungi dall’esserci qualcosa di sbagliato nella sua decisione di identificarsi come bianco, era la cosa più naturale per uno con le sue prospettive, il suo temperamento, e il colore della sua pelle.»

Ray Bradbury, Il pigiama del gatto, 2004, ed. Mondadori. Trad. Pag 24
«Per Walter tutto quadrava: l'uomo bianco che lavorava al sole diventava nero, quindi il ragazzo nero che si nascondeva al buio diventava bianco. Era una certezza, era una cosa ragionevole. Se una causa produceva un certo effetto, la causa opposta avrebbe prodotto l'effetto contrario, no? Era rimasto nella soffitta fino a quando la fame lo aveva costretto a scendere. Era sera e brillavano le stelle. Si era guardato le mani: sempre scure.»

Andrew Sean Greer, La storia di un matrimonio, ed. Adelphi. Trad. Giuseppina Oneto. Pagg. 64, 65.
«All’epoca davo la colpa alle zie di Holland. Dicevano di venire dalle Hawaii, di discendere, per parte di padre, dalla figlia di un capitano delle Indie occidentali e da un nipote del Capitano Cook; quella simpatica e improbabile leggenda dava loro un’idea di distinzione. Si consideravano a sé rispetto alla loro razza […] Mi ricordo che durante una delle prime cene a cui le ho invitate mi hanno detto: “Avremo anche avuto un antenato africano quattro o cinque generazioni fa, ma come vedi il sangue europeo lo ha annacquato”. Ascoltavo stupefatta, quasi ammirata. Che incantevole illusione, credere di potersi lasciare i problemi razziali alle spalle.»

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